Noi di RINASCITA PIANESE siamo lieti di pubblicare,........
per la rubrica covid-19, un ottimo articolo del dott. Carlo Parillo che qualche settimana fa vi abbiamo presentato sul blog.
Un grazie all'amico Carlo
COS’È SARS-CoV-2
I media di tutto il mondo appaiono, ad oggi, come lunghi necrologi e dettati numerici dall’apparente validità epidemiologica, ciononostante, anche se Cristiano Ronaldo “ha preso il CoViD-19”, non spiegano che questa affermazione è del tutto impropria. Infatti, CoViD§ è l’acronimo di “Malattia da Coronavirus” e si riferisce alla possibile sintomatologia che si manifesta in seguito all’esposizione al SARS-Cov-2, il virus che può provocarla. Cristiano Ronaldo, dunque, ha preso il SARS-Cov-2 ma, essendo asintomatico, non ha manifestato la CoViD-19.
SARS-Cov-2* acronimo di “Coronavirus della Sindrome Respiratoria Acuta Grave” si riferisce ad un agente virale del tutto nuovo ma comunque appartenente alla già nota famiglia dei Betacoronavirus e simile per il 96.2% ad un coronavirus infettante i pipistrelli: una bassa percentuale se consideriamo che il genoma umano e quello di una scimmia corrispondono per il 98.5%. È inoltre altamente improbabile che i pipistrelli siano stati la causa di tale trasmissione, diverse le motivazioni:
- C’erano vari animali non acquatici (inclusi mammiferi) disponibili per l’acquisto nel famoso mercato di Wuhan e non erano venduti ne erano presenti dei pipistrelli;
- Un ramo relativamente lungo del genoma del coronavirus dei pipistrelli non è un progenitore del SARS-Cov-2;
- In altri coronavirus, dove i pipistrelli sono portatori naturali, altri animali sono stati coinvolti come ospiti intermedi per poi arrivare all’uomo.
MASCHERARSI O NON MASCHERARSI
È noto che la trasmissione di SARS-Cov-2 avvenga per via aerea, per la precisione attraverso le goccioline di saliva (o goccioline di Flügge) tipicamente espulse quando starnutiamo, tossiamo o, più semplicemente, parliamo. Dunque, rappresentano una delle fonti primarie del virus e il loro arresto può ridurre la probabilità di contagio seppure eliminare completamente un rischio è spesso impossibile, ecco perché si fa ricorso ad un insieme di misure di contenimento che, sommandosi, lo abbassano facendolo tendere a 0 (il cosiddetto effetto formaggio svizzero). Se immaginiamo di bloccare qualcosa -diciamo dei chicchi di riso- utilizzando una fetta di Emmentaler, con i suoi buchi irregolari e disseminati sulla superficie, non rappresenta un’ottima barriera, ma se ne prendiamo 10 fette e le impiliamo l’una sull’altra, ecco che otterremo un’idea metaforica dell’azione combinata di mascherine, distanziamento fisico (e non sociale), igiene delle mani e in misura estrema il contenimento in casa.
Nonostante ciò, inspiegabilmente, le mascherine sono divenute il capro espiatorio di questa pandemia. D’altro canto, gli scienziati si arrovellano mettendo in discussione le loro certezze per poi riconfermarle, proprio come è avvenuto in uno studio pubblicato sul giornale “Infectious Disease Modelling” dal titolo “To mask or not to mask…” dove si conferma, a seguito di una serie di esperimenti e definizione di modelli matematici, l’elevato potenziale delle mascherine nel contenere la trasmissione del virus.
DIAGNOSI
Le discussioni fra addetti a lavori e non, non hanno risparmiato nemmeno i criteri diagnostici. Non esiste un test “migliore” per individuare il virus dell’anno ma esistono test che ricercano cose diverse; la sintomatologia può essere fuorviante, ecco perché i seguenti test vanno combinati sapientemente:
Tamponi:
Il tampone molecolare prevede il prelievo di un campione dalle vie aeree e la successiva analisi per la ricerca di tracce di RNA virale, per mezzo della tecnica più sensibile a disposizione: la “Real-Time Polymerase Chain Reaction”. Questo tipo di valutazione diagnostica, seppure la più sensibile, ha delle limitazioni, infatti se viene eseguito troppo presto e il virus non ha avuto il tempo di replicarsi il tampone può dare esito negativo e deve essere ripetuto.
Test Sierologici:
Si tratta di test per la ricerca degli anticorpi (di classe IgG e IgM) ed impiegano l’immunodosaggio cromatografico per quantificare gli anticorpi anti-SARS-CoV-2 nel sangue, siero o plasma. Sono test affidabili e rapidi, capaci di fornire un risultato nell’arco di una quindicina di minuti, ma hanno dei limiti di sensibilità e specificità che non ne consentono l’uso per la sola diagnosi di malattia: infatti, i campioni che risultino positivi devono essere obbligatoriamente sottoposti a un tampone di conferma.
Dunque, un tampone positivo indica la presenza del virus ma il corrispettivo sierologico potrebbe essere negativo non essendo ancora stata sviluppata una risposta anticorpale. Viceversa, un tampone negativo può avere un corrispettivo positivo nel test sierologico, indice di risposta immunitaria avvenuta e conclusa con l’eliminazione del virus. Notare che questi sono solo alcuni esempi di esito.
CURA
Non esiste la pillolina magica per curare la malattia da coronavirus ma esistono una serie di trattamenti che, se combinati, possono dare risultati incoraggianti. Antivirali dai nomi scioglilingua come Umifenovir, Lopinavir/Ritonavir, Rbavirin, Remdesivir e Ravipiravir sono risultati parzialmente efficaci. Ad ogni modo il trattamento anti-virale deve essere supportato da farmaci immunomodulatori come agenti cortisonici ad esempio. Diverse sono le cure in sperimentazione e molto si è sentito parlare dell’azione controversa dell’idrossiclorochina, impiegata per il trattamento della CoViD-19 ed i cui effetti benefici non sono stati dimostrati, d’altro canto sono ben noti i suoi effetti collaterali sul ritmo cardiaco.
La corsa agli armamenti interessa sia vecchie che nuove frontiere dell’immunologia, passando per le immunoglobuline iperimmuni, degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 isolati da pazienti rimessi dall’infezione fino agli avveniristici anticorpi monoclonali del Dr. Rino Rappuoli, pioniere nella generazione di questi anticorpi altamente specifici ed efficaci contro il virus.
PREVENZIONE
“Locus praeventioni melior quam rememdium” – ovvero – “Prevenire è meglio che curare”, locuzione che dall’alba dei tempi ci indirizza verso la strada più efficace e con meno criticità. La prevenzione viene assimilata spesso alle vaccinazioni ma quanto tempo ci vuole per fare un vaccino?
Per l’autorizzazione alla distribuzione di un vaccino occorrono in media tra 10 ai 15 anni e quello che sta accadendo con il vaccino per il SARS-CoV-2 è un fatto epocale, molte delle più grandi aziende farmaceutiche, supportate da enti finanziatori di grosso calibro come il BARDA (Ministero della salute americano), sono riuscite ad ottenere prototipi per un vaccino in meno di un anno. Questo è possibile da sempre ma la differenza l’hanno fatta diverse condizioni:
- L’urgenza del vaccino ha messo in stand-by molti altri progetti su cui le aziende avrebbero investito il loro tempo e i loro capitali;
- La disponibilità di capitale esterno riduce il rischio aziendale, spingendo le aziende ad assumersi il fardello, dalla concezione alla produzione del nuovo farmaco;
- Lo stato di emergenza ha favorito un assottigliamento della giungla burocratica che un’azienda si trova ad affrontare.
Proprio i questi giorni è arrivato l’annuncio dell’azienda farmaceutica americana Pfizer - abbiamo il vaccino! - hanno dichiarato. Questa è un’ottima notizia che va però recepita con attenzione, l’efficacia clinica è stata comprovata per il 90% e gli studi clinici devono ancora essere chiusi per poter passare finalmente all’azione.
I vaccini sono sicuri e vanno somministrati solo a determinate condizioni valutate da un medico competente. La cosa che invece dovrebbe preoccupare è la possibilità che un vaccino abbia ridotta efficacia o copertura, è questo a dover preoccupare in uno stato emergenziale e caotico come quello del 2020.
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