“TERREMOTO POLITICO/GIUDIZIARIO NELL’ALTO CASERTANO” «CANDIDATO PER SALDARE UN DEBITO DI GIOCO»
Fu Maria Rosaria Rossi, senatrice
e commissario di Forza Italia a Caserta, a decidere di puntare su Angelo Di
Costanzo per la candidatura alla presidenza della Provincia. La corsa del
sindaco del piccolo comune di Alvignano verso la poltrona più alta dell'ente di
Terra di Lavoro fu una passeggiata.
Era il maggio del 2015. Nessun contrasto
interno a Forza Italia. Poca resistenza da parte di altri politici locali che
pure avrebbero aspirato a quella posizione. La vittoria di Di Costanzo risultò
incontrastata: nessuno avrebbe scommesso un euro sulla sua sconfitta. Sarebbe
stata una puntata d'azzardo come quelle che, si legge nell'ordinanza
«Assopigliatutto», Di Costanzo era solito giocare a Venezia. Ne parla un
supertestimone, per anni suo compagno di «trasferta» da gioco. E, sulla scorta
di quei racconti, emerge l'ipotesi di un credito che Di Costanzo sembra
vantasse nei confronti del fratello della senatrice. Un «debito di gioco»,
scrive la polizia giudiziaria e, per saldarlo, a Di Costanzo fu concessa la
candidatura in Provincia. Storia tutta da verificare, sulla quale sono in corso
accertamenti della Procura di Santa Maria Capua Vetere.Un testimone ha infatti
dichiarato che la senatrice Rossi candidò Di Costanzo per «estinguere un
debito» che suo fratello aveva contratto nei suoi confronti proprio al tavolo
verde. Vicende per le quali non ci sono contestazioni penali ma che vengono
ricostruite dagli inquirenti perché le registrazioni di Di Costanzo al casinò
di Venezia, quelle sue puntante a quattro zeri, si incastrano nel flusso di
denaro che la guardia di finanza ha ricostruito nel corso dei due anni di
indagini sul suo conto. D'altronde, gli spostamenti di danaro destinati al
gioco sono oggetto di controllo in virtù della recente normativa
antiriciclaggio e sulla tracciabilità dei pagamenti nelle case da gioco. Di qui
la ricostruzione minuziosa delle puntate del politico casertano al casinò di
Venezia. Dai rifiuti trasformati in oro, dunque, alle puntate alla roulette di
Ca' Noghera «per ripulire i soldi sporchi», quelli che, secondo uno dei tanti
testimoni che hanno ricostruito l'ultima tangentopoli campana, «venivano dalle
mazzette pagate dall'imprenditore Gino Imperadore», il titolare di «Termotetti»
colosso del settore ecologia al centro dell'inchiesta due giorni fa sfociata in
venti arresti che hanno sconvolto l'imprenditoria e la politica casertana.
Monnezza e tangenti. Il secondo atto, indiziario per ora, riguarda la
candidatura stessa di Angelo Di Costanzo alla carica di presidente della
Provincia di Terra di Lavoro.Scenari lagunari quelli che fanno da sfondo alla
scalata politica del presidente della Provincia da due giorni in carcere con
l'accusa di aver «venduto» l'appalto ecologia nel «suo» paesino dell'Alto
Casertano in cambio di «consenso politico», così scrive il gip che lo ha
mandato in cella. Agli atti della guardia di finanza ci sono poi le vicende
tuttora in corso di accertamenti. Coincidenze piuttosto che «prove», finite in
una vasta informativa, tant'è che il gip non le riconosce in contestazione. Ma
non sfugge, al pool inquirente, che le puntate più alte di Di Costanzo a
Venezia «coincidono», appunto, con l'approdo della Termotetti ad Alvignano:
appalto rifiuti. Da quel momento, nell'arco del successivo anno e mezzo, il
politico movimenterà oltre 250mila euro per il gioco. È la primavera del 2014.Esattamente
13 mesi dopo, la senatrice della Repubblica, ex tesoriere del partito,
componente del «cerchio magico» di Berlusconi, amica di lungo corso di
Francesca Pascale, candida Di Costanzo che viene eletto dagli amministratori
degli enti locali della Provincia di Caserta con il 43 per cento dei voti.
Naturalmente, sia la senatrice Rossi sia suo fratello sono estranei
all'inchiesta, tantomeno sono indagati. Non è invece la prima volta che il casinò
di Venezia si ritrova al centro di indagini da parte della guardia di finanza
di Caserta. La casa da gioco era il campo di «battaglia» dell'imprenditore
edile Alfonso di Tella, ritenuto vicino al clan dei Casalesi. In un'informativa
delle fiamme gialle emerge che, insieme ad altri esponenti della cosca, andava
lì a «lavare» denaro sporco. Nell'informativa viene ricostruita, a carico dei
Casalesi, una «spesa» di 13 milioni di euro, con almeno trecento ingressi a
persona. Ma questa è un'altra storia.
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