Se la storia non si
ripete in maniera identica vanno però analizzate luci e ombre del momento
attuale. Da una parte una ripresa solida e non solo “di rimbalzo”: si prenda,
ad esempio, l’Italia che presenta ottimi dati economici, frutto non episodico,
ma esito di un consolidamento progressivo di settori come export, manifattura,
servizi e turismo. Anche la realtà europea presenta senza dubbio elementi di
successo: la scelta di immettere denaro per la transizione energetica e per
quella digitale, ovvero aver individuato una direzione precisa, contribuisce ad
alimentare una visione positiva, dare una direzione ai fondi pubblici e alle
strategie delle grandi aziende globali, offrire stabilità alle molte variabili
in gioco.
Un esempio concreto è quello del Green Deal Europeo, una
strada ormai tracciata verso una transizione energetica sostenibile cui si
aggiunge il cambio di rotta dell’amministrazione Biden che riporta gli Stati
Uniti negli accordi di Parigi. E sarà compito della Cop26 di Glasgow – a doppia
presidenza italo-inglese - trainare verso la direzione presa dall’Europa e
dagli USA altre potenze internazionali a tutt’oggi riluttanti.
Non mancano però anche le ombre, in parte dovute a seri
problemi di approvvigionamento energetico nonché ai prezzi molto elevati del
gas e in parte alle difficoltà della logistica e dei trasporti in generale. Per
non parlare di altre incognite: debiti pubblici in crescita, scarsa
corrispondenza tra domanda e offerta nonché il recente rallentamento della
Cina. Preoccupano anche i costi sociali delle due transizioni, quella
energetica e quella digitale, in termini di figure lavorative ormai obsolete -
e perciò espulse dal mercato - che necessitano una contemporanea costruzione di
nuove professionalità. Tutti fattori, questi, che proiettano non poche
incertezze in uno scenario internazionale non omogeneo.
La transizione digitale, che resta la matrice di tutte le
transizioni, avrà un forte impatto sul mondo del lavoro e sulla sua
organizzazione. La pandemia ha modificato i modelli di organizzazione del
lavoro e si è assistito ad una crescita esponenziale dello smart working. I
mesi vissuti in lockdown – ma anche quando queste norme sono state allentate –
hanno prodotto condizioni di eccezionalità nelle aziende che hanno dovuto all’improvviso
riorganizzarsi con soluzioni anche emergenziali.
Lo smart working presuppone una valorizzazione
dell’autonomia e della responsabilità dei lavoratori. Non per tutti si tratta
di una soluzione: non serve un suo uso massiccio, ma bisognerebbe esaminare
razionalmente in quali situazioni possa essere utile. Si prenda ad esempio la
manifattura: difficilmente lo smart working potrebbe diffondersi stabilmente in
questo settore. Anche perché per ora non esistono evidenze che lo smart working
garantisca un buon livello di produttività. Nella nuova organizzazione del
lavoro non si può anche dimenticare quanto andrà fatto per colmare il divario
di genere nei livelli occupazionali. Una maggiore occupazione femminile non
solo porta ad un aumento del PIL, ma influisce positivamente anche sulla
produttività.
Vanno attentamente considerate alcune esternalità economiche
negative che sarebbero indotte da un uso massivo di questa modalità di lavoro.
Un esempio per tutti: l’intera catena di servizi che ruota intorno all’ora di
pranzo: bar, ristoranti, hotel, trasporto pubblico e real estate. Si è,
inoltre, calcolato che in conseguenza di un uso massiccio dello smart working
potrebbero fermarsi ben quattro milioni di auto. Con ricadute pesanti sul
settore automotive. Al tempo stesso – naturalmente - si verificherebbe un
sensibile miglioramento dei livelli di CO2, come accaduto nel primo lockdown
duro del periodo pandemico. Peraltro – è stato ricordato – il livello di
inquinamento delle città non è attribuibile soltanto all’inquinamento da
traffico, ma è dovuto molto anche ai sistemi obsoleti di riscaldamento degli
appartamenti.
Altra esternalità negativa, questa volta in ambito sociale,
potrebbe essere quella della crescita di disuguaglianza tra i lavoratori a
distanza e quelli in presenza. Bisognerà, dunque, agire con cautela e in
maniera equilibrata, evitando soluzione estemporanee che potrebbero portare ad
una crescita repentina di tensioni sociali. Al tempo stesso – si è evidenziato
- non si può dimenticare che l’uso dello smart working ha portato anche
benefici nell’organizzazione del lavoro, contribuendo ad un maggiore equilibrio
nella conciliazione tra casa e lavoro, abbassando alcuni costi aziendali come
quelli provenienti da un mancato uso degli spazi di lavoro. La trasformazione
deve essere guidata, ma certo non è possibile tornare indietro dopo il grande
sviluppo del digitale dovuto alla pandemia. Anzi, per alcuni, non sembra
lontano un cambio di paradigma nell’organizzazione aziendale del lavoro: da
ruoli e gerarchie ad autonomia e senso di appartenenza aziendale, dagli
headquarter agli hubquarter.
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