L’articolo che pubblichiamo di seguito ha
venti anni. L’autore, Wynne Godley, noto
economista britannico Post Keynesiano e collaboratore del Tesoro del Regno
Unito, individua i problemi nella costruzione dell’Unione Monetaria a partire
dal Trattato di Maastricht. In particolare sottolinea come il Trattato
sottintendesse un’impostazione ideologica per la quale gli Stati non devono
occuparsi di politica economica e tutto ciò che è richiesto per far funzionare
il sistema è una banca centrale, indipendente dalla politica, che si occupi di
controllare l’inflazione. L’assenza di un Tesoro federale con un debito
pubblico monetizzabile, di un fisco e di un welfare federali, di
“stabilizzatori automatici” e trasferimenti tra regioni, porterà
inevitabilmente alla rottura dell’Unione monetaria, appena uno dei suoi membri
si trovasse in forti difficoltà per qualsiasi motivo. Insomma, quella che segue
è la cronaca di un fallimento annunciato.
Molte persone in tutta Europa si sono
improvvisamente rese conto che non sanno quasi nulla del Trattato di Maastricht
mentre giustamente avvertono che potrebbe fare una grande differenza nella loro
vita. La loro legittima ansia ha indotto Jacques Delors a fare una
dichiarazione secondo la quale le opinioni della gente comune dovrebbero in
futuro essere più ascoltate. Avrebbe potuto pensarci prima.Anche se ho
sostenuto il passaggio verso l’integrazione politica in Europa, credo che le
proposte di Maastricht così come sono presentano gravi carenze e anche che la
discussione pubblica su di esse sia stata curiosamente impoverita. [...]L’idea
centrale del trattato di Maastricht è che i paesi della Comunità europea devono
muoversi verso l’unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da
una banca centrale indipendente. Ma che cosa rimane della politica economica?
Dato che il trattato non propone nuove istituzioni diverse da una banca
europea, i suoi promotori devono supporre che nulla di più sia necessario. Ma
questo potrebbe essere corretto solo se le economie moderne fossero sistemi
capaci di autoregolarsi, che non abbiano bisogno di alcuna gestione. Sono
spinto alla conclusione che tale punto di vista – cioè che le economie sono
organismi che si raddrizzano da soli e che non hanno in nessun caso necessità
di una gestione – ha effettivamente determinano il modo in cui è stato
costruito il trattato di Maastricht. Si tratta di una versione rozza ed estrema
del punto di vista che da qualche tempo ha costituito la convinzione prevalente
in Europa (anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone): che i governi
non sono in grado di raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi di
economia politica, come la crescita e la piena occupazione, e pertanto non
dovrebbero neppure provarci. Tutto ciò che può legittimamente essere fatto,
secondo questa visione, è quello di controllare l’offerta di moneta e il
pareggio del bilancio. E’ stato necessario un gruppo in gran parte composto da
banchieri (il Comitato Delors) per giungere alla conclusione che una banca
centrale indipendente è stata l’unica istituzione sovranazionale necessaria per
gestire un’Europa integrata e sovranazionale.Ma c’è molto di più. In primo
luogo va sottolineato che la creazione di una moneta unica nella Comunità
Europea dovrebbe porre fine alla sovranità delle sue nazioni componenti e alla
loro autonomia di intervento sulle questioni di maggior interesse. Come
l’onorevole Tim Congdon ha sostenuto in modo molto convincente, il potere di
emettere la propria moneta, di fare movimentazioni sulla propria banca
centrale, è la cosa principale che definisce l’indipendenza nazionale. Se un
paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o
colonia. Le autorità locali e le regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma
si perde anche il potere per finanziare il disavanzo attraverso la creazione di
denaro, mentre altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti a regolamentazione
centrale. Né si possono modificare i tassi di interesse. Poiché le autorità
locali non sono in possesso di nessuno degli strumenti di politica
macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente
minori: un po’ più di istruzione qui, un po’ meno infrastrutture lì. Penso che
quando Jacques Delors pone l’accento sul principio di ‘sussidiarietà’, in
realtà ci sta solo dicendo che [gli stati membri dell'Unione europea] saranno
autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni
relativamente poco importanti di quanto si possa aver precedentemente supposto.
Forse ci lascerà tenere i cetrioli, dopo tutto. Che grande affare! Permettetemi
di esprimere una visione diversa. Penso che il governo centrale di uno Stato sovrano
deve essere costantemente impegnato a determinare il livello ottimale
complessivo dei servizi pubblici, l’onere fiscale complessivo corretto, la
corretta allocazione della spesa totale tra bisogni concorrenti, nonché la
giusta distribuzione del peso della tassazione. Esso deve anche determinare la
misura in cui ogni divario tra spesa e imposte viene finanziato prelevando
dalla banca centrale e quanto è finanziato mediante un prestito, e a quali
condizioni. Il modo in cui i governi decidono su tutti questi (e alcuni altri)
problemi, e la qualità della leadership che si possono dispiegare,
determineranno, in interazione con le decisioni degli individui, delle aziende
e degli stranieri, cose come i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso
di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. [Il
comportamento del governo] inoltre influenzerà profondamente la distribuzione
del reddito e della ricchezza non solo tra individui, ma tra intere regioni,
assistendo, si spera, quelle colpite negativamente dai cambiamenti strutturali.
[...]Elenco tutto questo non per suggerire che la sovranità non deve essere
ceduta in nome della nobile causa dell’integrazione europea, ma che se i
governi nazionali rinunciano a tutte queste funzioni esse devono semplicemente
essere assunte da qualche altra autorità. La lacuna incredibile nel programma
di Maastricht è che, mentre contiene un progetto per l’istituzione e il modus
operandi di una banca centrale indipendente, non esiste un qualunque progetto
analogo, in termini comunitari, di governo centrale. Semplicemente ci dovrebbe
essere un sistema di istituzioni che soddisfi a livello comunitario tutte
quelle funzioni che sono attualmente esercitate dai governi centrali dei
singoli paesi membri.La contropartita della rinuncia alla sovranità dovrebbe
essere che le nazioni componenti vengono incorporate in una federazione a cui è
affidata la loro sovranità. E il sistema federale, o stato, come è meglio
chiamarlo, dovrebbe esercitare tutte quelle funzioni in relazione ai suoi
membri e al mondo esterno, che ho brevemente sopra indicate.Consideriamo due
esempi importanti di ciò che uno stato federale, responsabile di un bilancio
federale, dovrebbe fare.I Paesi europei sono al momento bloccati in una grave
recessione. Come stanno le cose, in particolare le economie di Stati Uniti e
Giappone sono anch’esse vacillanti, è molto difficile dire quando un
significativo recupero avrà luogo. Le implicazioni politiche di questo stanno
diventando spaventose. Tuttavia, l’interdipendenza delle economie europee è già
così grande che nessun singolo paese, con l’eccezione teorica della Germania,
si sente in grado di perseguire politiche espansive per conto proprio, perché
ogni paese che cercasse di espandere l’economia con le sue sole forze
incontrerebbe presto un vincolo nella bilancia dei pagamenti. La situazione
attuale grida ad alta voce l’esigenza di un rilancio coordinato, ma non
esistono né le istituzioni né un quadro concordato di pensiero che porterà a
questo risultato, ovviamente, desiderabile. Si deve francamente riconoscere che
se la depressione dovesse davvero prendere una svolta seria per il peggio – ad
esempio, se il tasso di disoccupazione tornasse al 20-25 per cento degli anni
Trenta – i singoli paesi, prima o poi, eserciterebbero il loro diritto sovrano
di dichiarare l’intero percorso verso l’integrazione un disastro, e
ristabilirebbero dei controlli sui cambi e misure protezionistiche –
un’economia da assedio se vogliamo chiamarla così. Ciò equivarrebbe a ripercorre
il periodo tra le due guerre.Se ci fosse una unione economica e monetaria, in
cui il potere di agire in modo indipendente fosse effettivamente abolito, una
reflazione ‘coordinata’ del genere, di cui si sente così urgente bisogno,
potrebbe essere effettuata solo da un governo federale europeo. Senza una tale
istituzione, l’Unione monetaria impedirebbe un’azione efficace da parte dei
singoli paesi e metterebbe il nulla al suo posto.Un altro ruolo importante che
ogni governo centrale deve svolgere è quello di stendere una rete di sicurezza
per il sostentamento delle regioni componenti che sono in difficoltà per
ragioni strutturali – a causa del declino di alcune industrie, per esempio, o a
causa di qualche cambiamento demografico negativo per l’economia. Attualmente
questo accade nel corso naturale degli eventi, senza che nessuno se ne accorga,
perché esistono standard comuni dei servizi pubblici (per esempio, la sanità,
l’istruzione, le pensioni, i sussidi di disoccupazione) e un comune (si spera,
progressivo) sistema di imposizione fiscale. Di conseguenza, se una regione
soffre un insolito declino strutturale, il sistema fiscale genera
automaticamente i trasferimenti netti in favore di essa. Come caso estremo, una
regione che non producesse nulla non morirebbe di fame perché riceverebbe le
pensioni, le indennità di disoccupazione e il reddito dei dipendenti pubblici. Cosa
succede se un intero paese – un potenziale ‘regione’ in una comunità pienamente
integrata – subisce una battuta d’arresto strutturale? Finché si tratta di un
Stato sovrano, può svalutare la propria moneta. Si può quindi operare con
successo verso la piena occupazione se la gente accetta il taglio necessario
dei redditi reali [cioè l'inflazione, ndr]. Con una unione economica e
monetaria, questo ricorso è ovviamente escluso, e la sua prospettiva è davvero
grave, salvo accordi su bilanci federali che svolgano un ruolo redistributivo.
Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall che è stato
pubblicato nel 1977, ci deve essere uno scambio tra la rinuncia alla
possibilità di svalutare e la redistribuzione fiscale. Alcuni autori (come
Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente suggerito che l’Unione
monetaria, abolendo la bilancia dei pagamenti nella sua forma attuale, abolirebbe
il problema, dove esiste, di una persistente incapacità di competere con
successo sui mercati mondiali. Ma, come il professor Martin Feldstein ha
sottolineato in un articolo importante nel Economist (13 giugno), questo
argomento è pericolosamente sbagliato. Se un paese o regione non ha il potere
di svalutare, e se non è beneficiario di un sistema di perequazione fiscale,
allora non c’è nulla che possa fermare un processo di declino cumulativo e
terminale che conduce, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla
povertà o alla fame. Simpatizzo con la posizione di coloro (come Margaret
Thatcher) che, di fronte alla perdita di sovranità, desiderano scendere dal
treno dell’Unione monetaria. Simpatizzo anche con coloro che cercano
l’integrazione sotto la giurisdizione di una sorta di Costituzione federale,
con un bilancio federale molto più grande di quello dell’[attuale] bilancio
comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di
coloro che sono favorevoli all’unione economica e monetaria senza la creazione
di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che alzano
le mani terrificati alle parole “federale” o “federalismo”. Questa è la
posizione adottata oggi dal Governo e dalla maggior parte di coloro che
prendono parte alla discussione pubblica.
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