Tra il crack definitivo e il sostegno della troika, c'è chi ipotizza una terza via: vala a dire un fallimento pari al 50% del valore dei bond ellenici. Soluzione caldeggiata più volte anche dal primo Nobel dell'economia cipriota Christopher Pissarides.
Da polis a polemos: la Grecia passa da culla della civiltà a teatro di guerra. Con numeri da brivido: duecento milioni di euro in dracme. A tanto, secondo la Banca centrale greca, ammonta il valore del vecchio conio che i cittadini greci custodiscono ancora “sotto il materasso” e che in questi anni non hanno provveduto a convertire nella moneta continentale. Solo ragioni sentimentali o la consapevolezza che un giorno sarebbero potute tornare utili?Il dilemma si staglia, minaccioso, sotto la canicola di giugno dell’Acropoli il giorno dopo un’immagine sconvolgente. Ovvero ciò che analisti e operatori finanziari in tutte le banche del mondo hanno visto sulla piattaforma Bloomberg: dove ha fatto capolino la dracma “post euro”, ancora naturalmente senza valutazione. Un’eventualità che non sarebbe salutata con favore dai cittadini: sette greci su dieci hanno dichiarato in un recentissimo sondaggio che con un ritorno all’antica valuta la situazione sarebbe ancora peggiore. Ma, dopo le indiscrezioni dei giorni scorse diffuse dal centro studi della Deutsche Bank, relative alle obbligazioni in G-euro, ecco ora questo secondo indizio. Che si associa alla proposta avanzata oggi a Salonicco dal leader del partito nazionalista del Laos Giorgios Karatzaferris, di istituire l’evrodrachmi: “La nostra proposta è per due anni, – ha detto – cioè per un periodo di tempo specifico, in cui circoleranno due valute. Valuta ufficiale del paese è l’euro e l’evrodrachmi per i cittadini ellenici”. Ma con quali benefici reali?
In questo senso potrebbe essere utile spulciare le prime aziende che compongono l’indice di Atene, per valutare anche solo ipoteticamente se potrebbero “guadagnare” qualcosa dal ritorno alla dracma: al primo posto c’è la Coca Cola Hellenic Bottling (posseduta al 70% da americani), al secondo posto la Hellenic Petroleum, a seguire l’Opap (il Totocalcio ellenico) e a seguire la banca Nazionale della Grecia, che con l’uscita dall’euro fallirebbe nel giro di un minuto. Quella di Karatzaferris, al pari della boutade di Berlusconi di qualche giorno fa, sembra più un disperato tentativo di evitare il baratro che una strada realmente percorribile. Delle due l’una dunque: o la Grecia è sostenuta dalla troika nel rimanere nell’eurozona o le si fa imboccare la strada dell’Argentina, con la conseguente rottura immediata dell’intera struttura nella quale gravita la moneta unica, con immediate conseguenze che si abbatterebbero in primis su Spagna, Portogallo e Italia. Ma c’è chi paventa una terza via: un default controllato pari al 50% del valore dei bond ellenici, soluzione caldeggiata più volte anche dal primo Nobel dell’economia cipriota Christopher Pissarides.
Due le scuole di pensiero al momento. Da un lato i vertici continentali secondo cui entro pochissime settimane la dracma potrebbe tornare a circolare nel paese, per questo si dice che già dalla scorsa primavera in Grecia si sarebbe provveduto a stampare nuove dracme per essere pronti in qualsiasi momento. Dall’altro il magnate George Soros secondo cui ci sono ancora tre mesi di tempo prima che tutto precipiti e ci sia una disgregazione europea. La definisce “bolla politica della crisi”. E dal momento che i paesi creditori dell’Unione europea, Germania in testa – riflette – “hanno costruito un sistema bacato e ne stanno scaricando i costi sulle ‘periferie’, Grecia in testa”. Un panorama che registra due tappe significative: il G20 in Messico e il vertice di Roma del 22 giugno dove Monti riceverà Merkel, Hollande e Rajoy.
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